Altro settore è quello delle conocchie a fusi, piccoli attrezzi per la lavorazione della lana costituiti da un asse in legno che, nella parte superiore, si allarga in forma emisferica. L'apice è quasi sempre decorata con una figura femminile i cui stilemi si rifanno alle fasi più remote dell'arte mediterranea. Spesso la parte rigonfia conteneva un sassolino che provocava un suono ritmato durante l'uso.
Altro esempio dell'arte dei pastori sono le stecche reggiseno decorate; assieme ai fusi, venivano donate dal pastore alla propria donna in pegno d'amore.
D'origine diversa, specifica del devozionale, sono le varette e gli altari domestici realizzati dai pastori ad imitazione del simulacro del Santo Patrono del paese d'origine, dove viveva la famiglia, portato in processione per la festa.
In complesso questa articolata produzione, limitata alla Sicilia nord-orientale, rappresenta una porzione particolarmente originale delle nostre tradizioni. Una 'cultura' che si è tramandata dal tardo neolitico sino agli anni '60 del XX sec..
La natura montuosa della cuspide nord-orientale della Sicilia, costituita dalla breve catena dei Peloritani, favorì sin da epoca remota l'attività pastorizia, così come il porto falcato sullo Stretto favorì lo sviluppo di una città-emporio, Messina, dove trovava sbocco la produzione dell'economia pastorale (carni, pelli, formaggi, latte, lana). Molti sono in quest'area gli insediamenti collinari, quasi sempre d'origine preistorica, dove era ben radicata la presenza di pastori e ricca la produzione dei relativi manufatti artistici. Fino all'ultimo dopoguerra i pastori peloritani usavano vestiti e scarpe fatti di pelle di capra, come raccontava Omero, e vivevano in ripari costruiti con la stessa tecnica delle capanne preistoriche.