Autoritratto di via dei Crociferi

da Passeggiate sentimentali di
Saverio Fiducia

Oggi che quasi tutte le ferite fatte sul volto augusto de' miei monumenti sono rimarginate, voi che mi vedete così bella e serena e raccolta nella fastosa maestà delle mie basiliche e dei miei palazzi, sappiatelo, malgrado sull'antichissimo sentiero tracciato sui fianchi del monte dagli aborigeni si fossero venuti allineando templi e ville patrizie, tanto bella non fui ne' miei primordi o lo fui d'una diversa bellezza; e non sempre mi si chiamò  dei Crociferi; ma altri nomi ebbi, che si perdettero nei secoli. Tali nomi non me li chiederete, che non li ricordo neppure; ricordo, però, che i nativi allorchè scorgevano un pericolo profilarsi sul mare, veniveno a rifugiarsi con le loro donne i loro vecchi e i bamini, dietro i massi e i dirupi delle remotissime lave tra le quali pianeggiavo, e apprestarsi a difesa. Poi venne d'oltremare un popolo di scultori e di poeti che ornò di statue e di altorilievi marmorei e patinò di stucchi policromi la casta tessitura de' miei templi; e poi ancora un popolo carico di destino che aveva ismisurati potenza e orgoglio, ed io divenni una strada lastricata nel mezzo come cadesta gente usava, sebbene sempre tra orti, ville, giardini. Chiaro: alludo ai greci e ai romani. Non crediate perciò ch'io fossi una strada di campagna. Di faccia al mare lontano e al sole nascente, tre templi aprivano la teoria delle loro colonne: di Castore e Polluce, di Esculapio e di Ercole, iddii dimenticati. La vita dell'operosa e spirituale città mi ferveva d'attorno, e nelle mie immediate vicinanze v'era un Teatro sulla cui scena s'era udito l'urto del coturno di Eschilo, e un'Odeo al quale accorrevano i musicisti di Trinacria, che non ne possedevano altri. I tre templi occupavano l'area delle basiliche attuali ed erano edificati nel divino stile che nato in Sicilia chiamano dorico, fatto per l'eternità; ma i terremoti, le guerre e gli incendi, lungh'essi i secoli li cancellarono per sempre dal volto di Catania e di essi non è rimasto che il nome e nemmeno sicuro.
E ne ho visti in tre o quattro millenni di vita, lutti e rovine attorno a me; ne ho viste strane torme di guerrieri d'oltreterra e d'oltremare premere baldanzose i conci del mio selciato, penetrare avide di rapine nei templi e nelle ville, contendersi tra gli intercolunni e i peristili il bottino predato, e litigare con l'arme in pugno, e scannarsi. I Greci prima e poi i Siracusani, i Cartaginesi, i Romani, i Bizantini, i Mussulmani, i Normanni, i Tedeschi, i Francesi, gli Spagnoli: gente bramosa di violenza e di strage, rubatori e assassini a man salva; facce pallide d'Asia e nere d'Africa, bionde capellature di Normandia e di Svevia, torbi di ceffi di Provenza, mulatti di Castiglia e di Aragona, mediterranei e nordici, piombare simili ad avvoltoi in veste di colombe e impossessarsi delle ricchezze accumulate in decenni di paziente lavoro, e cupidi, cercare le nostre donne, le nostre bellissime donne.- Ah le nostre donne, invisibili, custodite, selvaggiamente difese! Fu per esse che in un maggio lontano udii anch'io echeggiare il grido scoppiato a Palermo
Mora, mora! e assistere a zuffe feroci e a una caccia senza pietà, e vidi cataste di cadaveri, che non uno si salvò dal castigo.
Tra gli ultimi lutti, un terremoto, quello del 1693: la città rasa al suolo, in pochi secondi un carnaio dolorante, un cimitero. Nel fatale e tragico pomeriggio, il destino, per Catania, parve concluso. Non fu e non sarà mai così: sette volte sette, essa rinascerà dalle rovine ed anch'io difatti, rinacqui, più bella di prima, quale oggi sono, per opera di costruttori che sapevano quel che facevano, committenti che guardavano in cielo e architetti che non pietre elevavano l'una all'altra conteste, ma melodia di pietra. Sciolto il velo della modestia mi si consenta di cantare la mia bellezza.
Dall'una e dall'altra parte due archi mi chiudono, quasi ganci di un prezioso monile: l'Arco di San Benedetto, imposto al miope governo secolare dell'impetuoso Vescovo Riggio, per unire le due ali d'un medesimo fabbricato; il portale di Casa Cerami, campito nel più azzurro dei cieli. Quattro chiese allineano i loro fronti fastosi: S. Benedetto, S. Francesco Borgia, S. Giuliano, S. Camillo; quattro monasteri regali, con chiostri monumentali e ombrosi giardini, e fonti mormoranti e poi vasti palazzi di signori dai nomi sonanti, e giardini pensili allietati d'oleandri e di rose, profumati di gelsomino e di zagara, e anche oggi, nel secolo dello strepito e della vita intensamente vissuta, una grande pace e dolci silenzi.
Grande pace diffusa, dolci silenzi! Voi siete in me, siete l'essenza di me stessa; per voi io fui pezzo per pezzo edificata. (....) Or sono vent'anni si sono accorti ch'io sono quasi parallela della via di maggior traffico della città, ed ecco violati, per alleggerir questo, la mia pace, i miei diffusi silenzi: viavai incessanti di veicoli, strombettanti. Ma si fossero limitati solo a questo! Si sono accorti altresì che la mia singolare e suggestiva bellezza meritava di essere ammiarata anche di notte, ed ecco: al calar della sera, brutti aggeggi sospesi in aria come l'anima degli impiccati accendersi di falsa luce solare, e frugando le modanature le statue i frontoni, annullare le ombre ed uccidere in me il mistero della mia pace notturna, un mistero che era forse l'unico al mondo. Ed hanno infine creduto, ahimè con quanta poca intelligenza, che la maestà dei miei monumenti poteva loro servire ad avallare certe spettacolari visioni di un mestiere duro a morire che spesso e volentieri si illude di raggiungere i fastigi dell'arte, ( il cinematografo ), ed ecco ancora una volta la mia bellezza violata da ridicole rievocazioni di costumanze ottocentesche, che diffamando l'ottocento, tentarono diffamare anche me.
Catania - scrisse per me qualcuno che se ne intende - è città aperta a tutti gli orizzonti con le sue strade dritte, ed ha una sola strada appartata, via Crociferi, che è il suo cuore, ed è anche una delle più belle strade del mondo. Chi salverà la mia bellezza?