Tra le varie sezioni, di maggiore originalità è certo quella dedicata all'arte dei pastori. Peculiare del territorio Peloritano e della vicina Calabria aspromontana, questa produzione conserva elementi che ricollegano addirittura la preistoria siciliana con la cultura degli Appennini del XII-X sec. a.C. Un caso pressocché unico - e documentato - di una continuità culturale di oltre tremila anni. Uno straordinario fenomeno oggi quasi cancellato dagli sconvolgimenti culturali degli ultimi decenni e dal mutare dei costumi.
A maggior ragione, quindi, questi reperti rivestono un grande interesse, anche perché costituiti da materiali poveri, di non facile conservazione. Si tratta quasi sempre di manufatti in legno o in corno: collari per ovini e bovini, cucchiai, ciotole, fiaschette o barilotti, bastoni e conocchie, assieme ad altri attrezzi utili al pastore, in legno di gelso, melicucco, frassino, ciocchi di erica.
L'uso del corno era solitamente limitato ai bicchieri o contenitori per liquidi, il legno di gelso si usava per i sagomati collari, dai ciocchi di erica si ricavavano ciotole.
Ciascuno di questi oggetti è interessante per essenzialità, eleganza delle linee e per le incisioni, che presentano evidenti riferimenti alle decorazioni delle culture dell'età del bronzo (XVIII-XII sec. a. c.). L'inseparabile coltello da tasca serviva per incidere le superfici precedentemente levigate con ricorrenti motivi geometrici, in fantasie di linee astratte fortemente simboliche; come normale in una economia pastorale, il riferimento più comune è quello alla fertilità.
Sui collari del gregge, le decorazioni avevano forse il senso pratico di segno di riconoscimento di proprietà dell'animale, come dimostrerebbe il fatto che i vecchi pastori, gelosi dei propri collari, preferivano distruggerli anziché venderli; nel caso di cessione del gregge non si cedevano i collari, per motivi scaramantici.